Casi di legittimazione a regolare il traffico o in generale ad operare soccorso.

Sin qui si è sempre parlato di LAVORI su strade e, a parte interventi dei volontari per blocchi alla circolazione dovuti a voragini sulla carreggiata (ad esempio ….) dove la P.C. può legittimamente essere chiamata ad intervenire per regolare il traffico a motivo del LAVORO da eseguire per la riparazione della strada, non si trova ancora risposta e giustificazione alla “presenza giuridica” di personale volontario sulle strade per regolare la viabilità in occasione di manifestazioni sportive o eventi che richiedano la chiusura di una strada o la deviazione del flusso veicolare.Ricapitolando, nessun volontario può imporre obblighi, divieti o limitazioni alla circolazione sulle strade secondo il dettato ORDINARIO contenuto nel vigente C.d.S. e norme correlate.
 
Ma … esistono parecchi ma… che possono “soccorrere” il nostro volontario impegnato in servizi di viabilità e soccorsi sanitari in genere:

a) l’ art. 652 Codice Penale,

Rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto. Art. 652 Codice Penale
“Chiunque, in occasione di un tumulto o di un pubblico infortunio o di un comune pericolo [422-436], ovvero nella flagranza di un reato, rifiuta, senza giusto motivo (1), di prestare il proprio aiuto, o la propria opera, ovvero di dare le informazioni o le indicazioni che gli siano richieste da un pubblico ufficiale o da una persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con l'arrestofino a tre mesi o con l'ammenda fino a trecentonove euro (2)(3). Se il colpevole dà informazioni o indicazioni mendaci, è punito con l'arresto da uno a sei mesi ovvero con l'ammenda da trenta euro a seicentodiciannove euro (2)(3).”

Note
(1) La sussistenza di un giusto motivo esclude il reato in esame. Si reputa giusto motivo non solo quello fondato su una norma giuridica ma anche quello che nel caso concreto sia reputato dal giudice sufficiente a giustificare l'inottemperanza ai doveri indicati dalla norma.

(2) Importo incrementato a norma dell'art. 113, c. 1, l. n. 689/1981.

(3) Oblabile ex art. 162bis c.p. . Il rifiuto di consegnare un documento di riconoscimento integra -- ricorrendone le altre condizioni richieste dalla legge (persone pericolose o sospette) -- gli estremi del reato di cui all' art. 4 legge P.S. e art. 294 del relativo regolamento e non già quello previsto dall'articolo in esame, trattandosi di reati aventi diverso elemento materiale e diversa obiettività giuridica. Ne consegue che, qualora la persona si rifiuti di dare indicazioni sulla propria identità personale e di esibire un documento di riconoscimento, si avrà concorso materiale della contravvenzione in esame con quella prevista dalla legge di pubblica sicurezza.

Ratio Legis
La Corte Costituzionale ha escluso ogni contrasto tra la norma in esame e l'art. 13 Cost. che tutela la libertà personale contro ogni forma di restrizione che non consegua ad un atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. Difatti, la norma in esame non comporta alcuna violazione delle garanzie fondamentali alla persona posto che, semplicemente, prevede l'obbligo, per il cittadino, di collaborare in presenza di particolari situazioni di pericolo.

b) l’ art. 2045 Codice Civile,

Stato di necessità. Art. 2045 codice civile
“Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave (1)alla persona [1447] (2) e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato (3) né era altrimenti evitabile (4), al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice [925, 1038, 1053, 1328, 2047 2].”

Note
(1) Al momento in cui l'agente pone in essere il suo comportamento deve, dunque, esistere un elevato grado di probabilità che si verifichi un grave evento sfavorevole e dannoso. La dottrina è divisa circa la possibilità di invocare il cd. stato di necessità putativo; se si richiamano le opinioni giurisprudenziali formatesi in materia penale in merito all'argomento deve ritenersi che la norma sia applicabile anche laddove l'agente abbia tenuto il comportamento dannoso sulla base di una presunzione inesatta dello stato di pericolo, formatasi in base a dati di fatto concreti, sia pure inidonei a creare il pericolo stesso.

(2) Il danno alla persona comprende, oltre al danno fisico, anche il danno riguardante altri beni della personalità giuridicamente tutelati.

(3) Il legislatore usa in questo caso una formula generica, che è stata esplicitata dalla giurisprudenza specificando che lo stato di necessità deve escludersi quando il pericolo di danno è stato creato colposamente o dolosamente dal soggetto che ha posto in essere la condotta lesiva. In tale ipotesi, pertanto, l'autore del fatto non potrà sottrarsi alla responsabilità per i danni cagionati al terzo.

(4) La reazione deve essere l'unico modo per evitare il danno; non è inevitabile il danno cui il soggetto poteva sottrarsi fuggendo.

Ratio Legis
Il principio sancito dall'art. 2045 coincide con quello previsto dall'art. 54 c.p., ma mentre nel diritto penale la sua presenza esclude del tutto la punibilità dell'agente, il diritto civile pur escludendo una responsabilità per fatto illecito, comunque pone a carico dell'autore dell'evento lesivo l'obbligo di corrispondere al danneggiato un equo ristoro patrimoniale. Occorre sottolineare che nella legittima difesa si è in presenza di un'aggressione ingiusta altrui, cui l'ordinamento reputa giustificata la reazione; nello stato di necessità, invece, non c'è alcuna aggressione ingiusta, sicché si giustifica la previsione di un indennizzo in favore del danneggiato.

Relazione al Codice Civile
(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Nell' art. 2045 del c.c. si disciplina la responsabilità di chi arreca danno per la necessità della salvezza, non di una cosa, ma di una persona in pericolo. A rigore, per quanto non vi sia stato eccesso e si sia rispettata la proporzione tra pericolo e danno, il fatto compiuto in situazione dl necessità è imputabile perciò cosciente e volontario; da ciò deriverebbe la conseguenza che il danno deve essere risarcito secondo i criteri ordinari. Ma per riguardo alle particolarità del caso, mentre la legge penale dichiara non punibile l'autore ( art. 54 del c.p. ), quella civile sancisce soltanto una attenuazione di responsabilità, nel senso che al danneggiato è dovuta una indennità che sarà determinata dal giudice secondo equità (art. 2045), costituendo in sostanza un dovere del soggetto di contribuire, con il sacrificio parziale proprio, alla salvezza altrui se questa non si possa altrimenti ottenere.

c) l’ art. 51 Codice Penale,

Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere .Art. 51 codice penale
“L'esercizio di un diritto (1)(2) o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridicao da un ordine legittimo (3) della pubblica autorità, esclude la punibilità[55] (4). Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo (5). Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine (6)(7).”

Note
(1) Elementi costitutivi di tale scriminante sono: a) esistenza di un diritto: la giurisprudenza e parte della dottrina (ANTOLISEI) interpretano il termine diritto in modo restrittivo, nel senso che deve trattarsi di un vero e proprio diritto soggettivo privato, tutelato dalla norma in modo diretto ed individuale. La dottrina prevalente, invece, ritiene che il concetto di diritto vada inteso nella accezione più ampia, per cui rileva ogni potere giuridico di agire (sia esso diritto soggettivo, potestativo, potestà o facoltà giuridica); non rientrano nella nozione, invece, gli interessi legittimi e i c.d. interessi semplici; b) fonte del diritto scriminante: può essere una legge in senso stretto, un regolamento, un atto amministrativo, un provvedimento giurisdizionale (sentenze, ordinanze, decreto), un contratto di diritto privato, la consuetudine, una fonte comunitaria; c) titolarità del diritto: il diritto (o facoltà legittima) deve essere esercitato dal suo titolare; qualora si tratti di un diritto non personale, è ammesso il suo esercizio per il tramite di un rappresentante, al quale si estenderà la scriminante in esame; d) limiti all'esercizio del diritto: l'esistenza e l'esercizio del diritto non sono sufficienti ad escludere automaticamente la punibilità del fatto commesso; occorre, altresì, che la stessa norma che riconosce il diritto consenta, almeno implicitamente, di esercitarlo mediante quella determinata azione che di regola costituisce reato. Ciò posto, possiamo distinguere dei limiti intrinseci e dei limiti estrinseci: i primi sono desumibili dalla ratio e dal contenuto astratto della norma da cui promana il diritto (così, ad esempio, il potere di distruggere la cosa propria incontra come limiti intrinseci quelli fissati dall'art. 423 c.p., c. 2, secondo cui è punito chi incendia la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica); i limiti estrinseci, invece, si ricavano dal complesso dell'ordinamento giuridico, compreso quello penale, e sono volti alla salvaguardia di quei diritti o interessi che risultano, sulla base di un giudizio di bilanciamento, di valore uguale o maggiore di quello del cui esercizio si discute. La dottrina ha chiarito che: per i diritti previsti da leggi ordinarie, i limiti si desumono dalla fonte e dal complesso delle altre leggi contenute nell'intero ordinamento; per i diritti costituzionalmente riconosciuti (es.: diritto di cronaca e critica giornalistica ex art. 21 Cost., e diritto di sciopero ex art. 40 Cost.), sono concepibili unicamente limiti tendenti al soddisfacimento di altri interessi costituzionali di rango equivalente.
(2) Casi particolarmente rilevanti di esercizio del diritto sono: a) diritto di cronaca giornalistica: è inteso come il diritto di narrare, attraverso parole o fotografie, i fatti che avvengono; costituisce una espressione del pensiero nella sua forma narrativa e trova il suo fondamento e garanzia nell' art. 21 Cost. Trattasi di un diritto pubblico soggettivo con spiccata funzione sociale; invero, il giornalista ha il potere-dovere di portare a conoscenza del pubblico fatti, notizie e vicende della vita associata, in modo che il pubblico, esattamente informato, abbia la possibilità di formarsi una propria opinione sugli avvenimenti e sulle persone. Ciò posto, i giornali, nel riportare i fatti di cronaca, molte volte riferiscono situazioni che offendono l'onore e la reputazione di una persona (anch'essi beni costituzionalmente tutelati [v. artt. 2 e 3 Cost.]), onde sembrerebbero sussistere i presupposti del reato di diffamazione [v. 595 c.p.]; l'esercizio del diritto di cronaca integra gli estremi della causa di giustificazione in esame (ed è, quindi lecito), purché vengano rispettati determinati limiti ricavabili dalla logica concettuale e dall'ordinamento positivo. Attualmente la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso che tre sono le condizioni per la sussistenza di tale causa di non punibilità, e cioè: che la notizia pubblicata sia vera (e che comunque provenga da una fonte controllabile); che esista un interesse pubblico alla sua divulgazione; che l'informazione sia esposta in maniera obiettiva, serena e con un linguaggio necessariamente corretto e di per sé non offensivo; b) diritto di sciopero: costituisce uno strumento di lotta sindacale che assurge al rango di diritto costituzionalmente garantito dall'art. 40 Cost. e la cui titolarità spetta al singolo lavoratore; esso consiste in una astensione collettiva e concordata dei dipendenti dalla attività lavorativa per il perseguimento di un fine comune (contrattuale, politico-economico, di solidarietà). Il diritto di sciopero presenta dei limiti interni e dei limiti esterni. Sotto il profilo dei limiti interni, l'esercizio del diritto di sciopero deve presentare tali caratteristiche: astensione collettiva dal lavoro; perseguimento di interessi economici, professionali e politici dei lavoratori; svolgimento pacifico della manifestazione. I limiti esterni sono quelli derivanti dalla necessità di coordinare il riconoscimento del diritto di sciopero con gli altri valori costituzionali; tra i diritti costituzionali capaci di limitare l'esercizio del diritto di sciopero si possono evidenziare ad esempio: i diritti inerenti alla vita e alla integrità psico-fisica dell'individuo, che non possono essere pregiudicati da eventuali astensioni dal lavoro (ciò con particolare riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, dove è in gioco l'igiene, la salute e la sicurezza pubblica; su tale materia è intervenuto il legislatore con la decisiva legge 146/90); i diritti relativi alla libertà del singolo dipendente, non aderente allo sciopero, di raggiungere il posto di lavoro e di svolgere il lavoro; il problema si pone con particolare riguardo al picchettaggio cioè al raggruppamento di scioperanti che stazionano vicino ai cancelli o ingressi per bloccare gli eventuali dissenzienti. Orbene, per la dottrina e la giurisprudenza, il picchettaggio è legittimo solo quando si limiti ad una vivace opera di propaganda e persuasione verso gli incerti ed i dissenzienti (picchettaggio pacifico); al contrario, nel caso in cui i picchetti tendono a coartare la libertà di lavorare o non lavorare con minacce, intimidazioni o violenze, rileva il delitto di violenza privata [v. 610 c.p.].
(3) Il requisito della legittimità dell'ordine comporta che il subordinato abbia il diritto e il dovere di sindacare se esso sia legittimo; tale sindacato investe non solo la legittimità formale, ma anche la legittimità sostanziale dell'ordine (salvo il caso di cui al comma 4 dell'articolo in esame).
(4) Nell'ambito dell'art. 51 c.p., viene generalmente inquadrata altresì l'attività dell'agente provocatore, il quale, su ordine impartito dal suo superiore gerarchico, partecipa all'altrui attività criminosa per farla fallire e farne arrestare gli autori. La scriminante in esame, però, opera solo se ed in quanto l'agente si limiti ad una attività di controllo e di osservazione dell'altrui attività illecita, senza alcuna possibilità di dare poi effettiva esecuzione al reato o, comunque, di agevolarlo; tale contenuto, unito alla mancanza di dolo nell'agente provocatore, porterà alla sua non punibilità. È appunto per il limitatissimo contenuto che può avere l'ordine di partecipare all'altrui attività criminosa al fine di scoprirla ed assicurarne i colpevoli alla giustizia che il legislatore, per alcuni casi particolari in cui è necessario spingersi più in là con l'attività di provocazione, ha introdotto autonome figure di scriminanti (artt. 97-98 D.P.R. 9-10-1990, n. 309 in materia di acquisto di stupefacenti; art. 14, L. 3-8-1998, n. 269 in materia di acquisto di materiale pornografico; art. 4, D.L. 18-10-2001, n. 374, convertito in L. 15-12-2001, n. 438, in materia di delitti commessi con finalità di terrorismo).
(5) Se, ad esempio, un soldato, credendo che sussista ancora lo stato di assedio in una città, obbedisce all'ordine di un suo ufficiale di sparare contro alcuni passanti, non risponderà del reato a causa dell'errore sul fatto in cui versa. In tal caso, l'impunità deriva dalla considerazione che l'errore di fatto esclude il dolo [v. 47 c.p.].
(6) Si fa riferimento a rapporti di subordinazione di natura militare o assimilati (es.: agenti di polizia, pompieri etc.); in tali casi la legge impone l'obbligo della più stretta e pronta obbedienza. L'insindacabilità, però, è solo sostanziale mai formale, per cui sarà sempre possibile per il subordinato verificare: la forma dell'ordine; l'attinenza dell'ordine al servizio; la competenza dell'autorità ordinante. Per la dottrina, nell'ipotesi di manifesta criminosità dell'ordine l'inferiore non è più vincolato alla pronta obbedienza ma ha il diritto-dovere di opporre un rifiuto; è il caso dell'ufficiale di polizia, ubriaco o impazzito che ordina di sparare su una pacifica folla.
(7) Cfr. art. 66, l. 1-4-1981, n. 121 (Ordinamento della P.S.), nonché l'art. 12quater, d.l. 8-6-1992, n. 306 conv. con modif. nella l. 7-8-1992, n. 356 (Provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa).

d) l’ art. 54 Codice Penale,

Stato di necessità. Art. 54 codice penale
“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare (2) sé od altri (3) dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (4), pericolo da lui non volontariamente causato (5), né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo (6). Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo (7). La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo (8) [55].”

Note
(2) Relativamente alla necessità di salvataggio, non è ritenuta sufficiente una semplice necessità, ma occorre che la stessa sia imperiosa e cogente, tale da non lasciare, rispetto alla soccombenza, altra scelta che non sia quella di ledere il diritto del terzo. Al riguardo si pone il problema dei rapporti tra stato di bisogno economico e stato di necessità. La costante giurisprudenza della Cassazione ritiene inapplicabile l'art. 54 nei casi di bisogno economico, sostenendo che alle carenze economiche può far fronte la moderna organizzazione sociale, la quale, prevedendo mezzi ed istituti di tutela per gli indigenti, gli inabili al lavoro etc., elimina per costoro il pericolo di restare privi di quanto occorre per le loro cure e per il loro sostentamento. Più elastica appare, invece, la giurisprudenza di merito (Tribunale), la quale ritiene che lo stato di bisogno può integrare gli estremi dello stato di necessità e, quindi, scriminare quando si concreti in un grave pericolo di danno alla salute, oppure limiti notevolmente i bisogni essenziali del vivere civile. Così, si è riconosciuta la scriminante dello stato di necessità nel caso di chi ha costruito un'abitazione senza avere ottenuto la preventiva concessione per salvare la salute propria e dei propri figli minacciata dalla insalubrità della fatiscente baracca in cui era costretto a vivere; ancora, si è escluso il reato di invasione di edifici nel caso di una famiglia che, in condizioni economiche disperate e in precario stato di salute, ha occupato un appartamento subito dopo essere stata improvvisamente sfrattata dalla sua abitazione pericolante. La Cassazione ha ribadito che la necessità di ottenere un alloggio esula dalla portata dell'art. 54 c.p., la cui operatività presuppone la concreta imminenza di un grave pericolo alla persona, non altrimenti evitabile; il pur grave disagio della mancanza di un alloggio può essere evitato oltre che attraverso i mezzi forniti dalla moderna organizzazione sociale, anche con diversi rimedi (es.: alloggio da parenti o amici) (Cass. 222/94).

(3) Si tratta del cd. soccorso di necessità, figura particolare e controversa tra le cause di giustificazione. Per effetto di tale figura, infatti, è consentito a chiunque di interferire nell'ordine naturale delle cose, mutando a proprio arbitrio situazioni di fatto a favore o a sfavore di un soggetto piuttosto che di un altro: così, ad esempio, nel caso della zattera in grado di reggere un solo naufrago, chi, avendo visto un naufrago già vicino alla zattera ed avendo visto nel contempo avvicinarsi a nuoto un suo amico, può, per favorire quest'ultimo, annegare il primo per permettere al secondo di salvarsi, e non risponderà di alcun reato, ben potendo invocare l'art. 54 c.p. . Ciò spiega perché molti autori auspicano l'abolizione di tale figura o, quanto meno, una più decisa limitazione, come ad esempio restringere l'ipotesi solo a favore dei congiunti o ai soli casi in cui il bene salvato sia superiore a quello sacrificato (es.: Tizio ruba una medicina per salvare una persona che ne ha urgente bisogno).

(4) Lo stato di necessità non ricorre mai quando l'evento temuto sia di natura patrimoniale.

(5) Per la dottrina prevalente è «volontario» il pericolo causato con dolo o anche con colpa.

(6) L'orientamento tradizionale fonda tale giudizio di proporzione sul rapporto di valore tra i beni confliggenti, di modo che sussiste la proporzione tra fatto e pericolo quando il bene minacciato (es.: vita) prevalga o, almeno equivalga a quello sacrificato (es.: integrità fisica).

(7) Così non potrà invocare la scriminante in parola il comandante della nave che, per porsi sull'unica scialuppa rimasta, sacrifichi la vita di un passeggero.

(8) È questa l'ipotesi del c.d. costringimento psichico che si verifica quando un soggetto venga costretto da altro soggetto a tenere un certo comportamento antigiuridico. In altri termini, colui che viene costretto a compiere l'azione, si trova nell'alternativa di compiere l'azione stessa o di soggiacere al male minacciato (es.: automobilista che provoca un investimento perché spinto a correre sotto la minaccia di una pistola). Il costringimento psichico consiste, appunto, in questa alternativa; per invocare la scriminante in esame, però, occorre che la minaccia sia tale da creare nell'agente un vero e proprio stato di necessità; in ogni caso, del fatto compiuto risponderà il minacciante.

Ratio Legis
La dottrina prevalente ritiene che il fondamento dello stato di necessità risieda nel criterio oggettivo del bilanciamento degli interessi. In una situazione in cui un bene è comunque destinato a soccombere, l'ordinamento si disinteressa della prevalenza dell'uno o dell'altro dei beni, se si tratta di beni equivalenti; privilegia quello maggiore, invece, se essi sono di diverso valore. Pur se affine alla legittima difesa [v. 52], lo stato di necessità se ne differenzia sostanzialmente per il suo carattere utilitaristico. In particolare, le due figure differiscono sotto diversi profili: a) il male minacciato: nella legittima difesa, può riguardare sia diritti personali che patrimoniali; nello stato di necessità rilevano soltanto danni gravi alla persona; b) l'oggetto della reazione: nella legittima difesa si reagisce contro l'aggressore, nello stato di necessità contro un terzo incolpevole, che non ha dato causa al pericolo; c) l'involontarietà del pericolo: solo nello stato di necessità il pericolo non deve essere stato volontariamente causato (ma la giurisprudenza estende tale requisito anche alla legittima difesa), né altrimenti evitabile; d) le conseguenze civili: in materia di risarcimento dei danni, l'art. 2044 c.c. stabilisce che non è responsabile chi cagiona un danno per legittima difesa; l'art. 2045 c.c. stabilisce che chi compie un fatto dannoso in stato di necessità, deve corrispondere al danneggiato un equo indennizzo determinato dal giudice con equo apprezzamento (c.d. responsabilità da atto lecito).

e) l’art. 4 L. 689/81.

 Cause di esclusione della responsabilità. Art 4 L. 689/1981
“1. Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa.2. Se la violazione è commessa per ordine dell’autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.”

E sono solo una parte di norme nazionali che, ritengo, possano concorrere a giustificare la presenza dei volontari di P.C. o del Soccorso Sanitario ad operare su una strada con funzioni di regolazione del traffico modificandone i flussi o vietando la circolazione.  
 
Se esaminiamo uno per uno gli articoli sopra richiamati che, detto per inciso, non ritengo né pretendo essere esaustivi della materia perché non posso escludere che altri studiosi del diritto più autorevoli del sottoscritto possano trovarne altri o confutare la validità di questi, scopriamo che:

a) l' art. 652 C.P. in rubrica titola “rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto”; che ci azzecca? Direte voi. Presto detto, se si legge attentamente il testo si scopre che, al di là della singolare titolazione è previsto che:

“Chiunque, in occasione di … omissis … un pubblico infortunio o di un comune pericolo .. omissis … rifiuta , senza giusto motivo di prestare il proprio aiuto o la propria opera …. Omissis … è punito con l arresto fino a 3 mesi o con l ammenda fino a € 309,00”

Per “COMUNE PERICOLO” deve leggersi ciò che lo stesso Codice Penale richiama agli articoli dal 422 c.p. al 437 c.p.  laddove si intendono tutti i possibili pericoli per l incolumità pubblica:

 

I    art. 422 c.p.    Strage

II    art 423 c.p.    Incendio

III    art 423 bis c.p.    Incendio boschivo

IV    art 426 c.p.    Inondazione, frana valanga

V    art 428 c.p.    Naufragio, sommersione, disastro aviatorio

VI    art 430 c.p.    Disastro ferroviario

VII    art 432 c.p.    Attentati alla sicurezza dei trasporti,

VIII    art 433 c.p.    Attentati alla sicurezza degli impianti per energia elettrica, gas o comunicazioni

IX    art 434 c.p.    Crollo di costruzioni

X    art 436 c.p.    Sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni

XI    art 437 c.p.    Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro

 
Questi sopra riportati sono eventi che chiamano in causa proprio il personale di P.C. e del soccorso sanitario volontario. In che misura e come l’ art. 652 c.p. si collega agli articoli sopra riportati?
 
Mi sembra chiaro che se un volontario viene chiamato ad intervenire perché si è verificato un fatto riconducibile, ad esempio, a quello previsto dal punto IX) ovvero “crollo di costruzioni”, ancorché doloso, ovvero provocato ad arte per danneggiare ed uccidere (ma la causa e la motivazione non riguardano il volontario di PC o del soccorso sanitario) si è, non solo autorizzati legalmente ad intervenire, ma si è anche OBBLIGATI a farlo.
Da qui ne segue che i volontari chiamati a regolare il traffico sulla strada interessata dal crollo ben potranno operare con tutti i poteri che ne derivano dal mandato che il “pubblico ufficiale” che li ha chiamati ad operare ha dato loro.
 
Si osservi che per “Pubblico Ufficiale” dobbiamo intendere colui che (vedere art. 357 c.p.), a nome della Pubblica Amministrazione dirige e segue le operazioni di soccorso nell’ immediatezza dell’ evento: polizia, vigili del fuoco, etc …
 
Ovviamente  si  potranno  ricevere  disposizioni  dalle  autorità  -  ripetiamo,  incarnate  da  un  “Pubblico Ufficiale”- che saranno, o dovrebbero essere, chiare nel definire cosa e come dovrà operare ogni singolo volontario.Nel dettaglio si potranno ricevere indicazioni, ad esempio, circa la chiusura di una strada, con il “potere” conseguente di allontanare veicoli impedendo loro l’ acceso ad una determinata area.
Se il conducente di un veicolo o un pedone - se il divieto riguarda anche i pedoni, non volesse aderire al divieto, il volontario potrà - e DOVRA’  -  chiamare in causa l’ autorità preposta all’ applicazione delle sanzioni previste (una qualsiasi fora di polizia, per intenderci) e MAI minacciare o pretendere di applicare o far credere di poter applicare sanzioni di qualsiasi genere.
Nell’ appena delineato vasto campo d azione si può agevolmente constatare che i volontari di PC ed i soccorritori sanitari possono regolare il traffico sempre nel rispetto di quanto disposto dalle autorità competenti, ossia dai Pubblici Ufficiali presenti sul posto ed incaricati di seguire le operazioni o, laddove manchino, per il solo tempo necessario a svolgere i compiti specifici cui si è demandati.
 
Quale nota “curiosa” si osservi come l’ art. 652 c.p. ci dice anche e soprattutto che chi non si presta al soccorso, così come richiesto da un Pubblico Ufficiale, rischia l’ arresto fino a 3 mesi.Quindi se i volontari stanno fermando veicoli e lo fanno perché è stato chiesto da un Pubblico Ufficiale, nessuna norma potrà “incriminare” il volontario per avere effettuato un servizio altrimenti non previsto dalle norme del C.d.S. in circostanze ordinarie.In questo caso potrebbero anche ricevere in dotazione una paletta …. ma se l ha fornita il “pubblico ufficiale” nessun problema.
 
Lo stesso deve intendesi il caso di sinistri stradali che rientrano nella fattispecie prevista dall’ art. 652 c.p. laddove riporta “pubblico infortunio” potendosi intendere, l’ incidente stradale, uno di questi. Quindi operare servizi di viabilità generale nel caso di incidenti stradali laddove un agente di polizia stradale (ricordare l’ art. 12 c.d.s.) lo abbia espressamente richiesto è perfettamente legittimo.
 
b) L’ art. 2045 c.c. in rubrica dice “Stato di necessità” e serve a “giustificare” un fatto che può sì  avere cagionato un danno a terzi, ma tale fatto era motivato dall’ esigenza di salvare sé o altri da pericolo o danno grave. Questo articolo serve ai volontari per “evitare” che, nel corso di eventuali servizi di viabilità - ma non solo in questi casi - si incorra in richieste risarcimento danni per avere vietato il transito a …. un importante uomo d’ affari che, impedito a giungere in tempo ad un appuntamento di lavoro, lamentasse la perdita di un “affare” di qualche milione di Euro …. ma i casi  sono  infiniti  ed  i  legali  hanno  molta  fantasia  giuridica  nel  creare  motivi  per  chiedere risarcimento danni. Questo articolo “serve” solo in caso di contenzioso in sede civile, non in sede penale né in caso di sanzioni amministrative.

c)  - d) Art. 51 c.p.  e 54 c.p. , rispettivamente ci dicono:    

 art.  51  c.p.  esclude  la  punibilità  per  un  reato  eventualmente  commesso  nel  corso dell’ adempimento  di  un  dovere  o  conseguente  ad  un  ordine  legittimo  della  pubblica autorità. Inoltre se un fatto è commesso per ordine dell’ Autorità del reato risponde chi ha dato l’ ordine.
 
Art. 54 c.p. ci dice che viene esclusa la punibilità di chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo o un danno grave, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo. (simile all’ art. 2045 c.c.)
e) art. 4 Legge 24/11/1981 n° 689. Questo è applicabile a tutte le violazioni che rivestono carattere amministrativo. In buona sostanza ricalca in parte quello che prevedono i casi di cui all’ art. 51 c.p. e 54 c.p.  ma è rivolto a quelle violazioni che, se commesse e rilevate, comporterebbero solo una sanzione amministrativa, quelle che comunemente ed impropriamente viene chiamata “multa”.

NOTA.
Chiarimento di carattere giuridico: le MULTE vere e proprie, sebbene si concretizzino nel dover pagare una somma di denaro non sono comminate dagli agenti di polizia che hanno accertato il fatto contrario alla legge ma, bensì, da un GIUDICE; infatti, se si torna a leggere più sopra cosa capita a chi minaccia di “ingiusto danno” al Sig. Rossi trova che rischia la “multa” di € 51,00  (art 610 c.p.) che viene applicata da un GIUDICE dopo un processo mentre chi, ad esempio, passa col semaforo rosso è punito con la “sanzione amministrativa” di € 71,00 e questa la applica direttamente l agente di polizia che rileva il fatto direttamente sulla strada.
 
Riassumendo possiamo intervenire se siamo chiamati a farlo da una AUTORITA  PUBBLICA che ce lo chiede espressamente con un mandato preciso. NON possiamo intervenire sanzionando o minacciando sanzioni di alcun genere, possiamo solo invitare chi ci osserva al rispetto delle norme cui siamo stati demandati di fare rispettare, con calma, rispetto e cortesia.
Si possono usare strumenti come la “paletta” se ci viene data in uso dall’ AUTORITA , altrimenti usiamo ciò che può essere meglio per farci vedere e comprendere (bandierine rosse, drappi colorati, cartelli esplicativi, messaggi variabili con pannelli a bordo di veicoli, etc.etc.) MAI imporre qualcosa a qualcuno. con la forza o la violenza, anche solo verbale!

Se ve ne fosse bisogno allertare le forze di polizia – che sicuramente sapranno della nostra presenza – e semmai rilevare tutti i dati possibili dei trasgressori (numero di targa, veicolo, marca, modello, colore, elementi per riconoscere il soggetto etc. etc.) Fatto questo nessuno potrà mai accusarci di avere indebitamente agito con poteri non propri o violato norme o cagionato danni.